Era il 1991 e all’epoca trafficavo con musica elettronica ma anche con molto rock e psichedelia.
Mi arrivò in qualche modo il vinile di “Loveless” dei My Bloody Valentine e la prima volta lo ascoltai a casa di un amico, credevo che il suo impianto avesse qualche problema.
E poi dopo venti anni sabato scorso, ore 22.30 circa, colpo di teatro inscenato dai My Bloody Valentine per lanciare il seguito del loro secondo album.
Preannunciato dalla frase “We are preparing to go live with the new album/website this evening. We will make an announcement as soon as its up.”, apparsa all´improvviso nella serata di Sabato 2 Febbraio sulla pagina Facebook della band, e venduto a partire dalla successiva mezzanotte tramite il sito Mybloodyvalentine.org, il seguito di “Loveless” è finalmente arrivato.
Naturalmente il web è “esploso” e nemmeno il loro sito ha retto, all’inizio, al colpo.
Il disco è una continazione logica di “Loveless” venti anni dopo, ma stesso interesse per il feedback.
Come il feedback, noi compresi, che ha generato questa novità, questo colpo di teatro.
Ma in tempi come questi, dove tutto è valido musicalmente (nel senso che tutto si può produrre senza pitù steccati come il passato), ma tutto duro come un tweet o un post su facebook, riuscirà questo disco a mantenere l’attenzione alta?
Ci sono ancora dischi che creano “movimento”, sia critico che musicale?
Questo mio post parla più di media che musica.
Per la recensione vera e propria esiste google, io il disco devo ancora ascoltarlo con calma.
Ma mi interessava di più capire quanto un fenomeno hip come questo possa durare nel tempo.
L’attesa è durata vent’anni… riuscirà questo disco a durare almeno una settimana oppure ormai in tempi modermi i dischi durano quanto un tweet?

p.s.

la cosa interessante, e si nota subito ascoltandolo in digitale, è che il disco è stato registrato in analogico, ma cosa assai più interessante è che non è stato compresso e quindi suonerà più basso e “pretende” una maggiore attenzione all’ascolto, cosa particolare di questi tempi.

p.s. 2

un ringraziamento a Tony D’Onghia per l’ispirazione.